Condividiamo il testo dell’intervento del Presidente di Legacoop Lombardia Attilio Dadda per Il Sole 24 Ore:

Orientare filiere e processi produttivi all’economia circolare; preservare e rigenerare la biodiversità urbana, agricola e naturale; difendere il diritto ad avere un’adeguata qualità di aria, suolo e acqua. Sono proposte e azioni concrete da intraprendere necessariamente nella gestione quotidiana delle attività lavorative con l’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti. Sono principi e obiettivi che forse vengono in contrasto con il pensiero dominante a livello economico? Non è questo il problema. Quel sistema economico è, davanti agli occhi di tutti, in crisi.
La transizione ecologica può e deve diventare un percorso per obiettivi comuni e non una mera diluizione delle azioni, con il solo scopo di conservare il modello produttivo attuale. Siamo di fronte a un cambiamento paradigmatico della storia sociale ed economica e non si può affrontare il cambiamento pensando di proseguire con schemi che hanno il fiato corto.
È ormai innegabile la crisi strutturale del sistema capitalistico-finanziario post novecentesco che continua a depauperare le risorse, rifiutarne la limitatezza e disperdere la disponibilità potenzialità multigenerazionale,
consentendo alla leva finanziaria rapace di impattare sui diritti: lavoro, salute, sviluppo delle comunità locali. Da Papa Francesco ai più importanti e attenti economisti internazionali non manca il richiamo e l’invito a cambiare. Anche il grande filosofo francese Edgar Morin nel suo ultimo libro fa appello alle coscienze di tutti noi per poter superare attraverso valori come l’uguaglianza e la solidarietà le storture del sistema capitalistico e andare oltre l’egemonia del profitto e dell’economia liberale che hanno oramai dimostrato ampiamente di essere fonte di disuguaglianze, sfruttamento ed egoismi.
Un nuovo ordine economico passa necessariamente attraverso l’effettiva consapevolezza che viviamo una vera e propria emergenza climatica ed ecologica. E l’impegno per un modello sostenibile non deve essere per le imprese un orpello ma una vera e propria opportunità che porterà a ripensare – questo sì – alcuni principi dell’attuale quadro economico.
L’impegno deve essere per una sostenibilità integrale – dalla parità di genere alla formazione, dall’inclusione alla riduzione delle emissioni – vale a dire un insieme di azioni che rinunciano all’uso di risorse fossili e limitate per ricostruire la biodiversità senza tralasciare l’impatto sociale, mettendo al centro il lavoro di qualità di tutta la filiera e la ricaduta alle comunità locali, non solo in fase produttiva ma in termini di benessere collettivo. La sostenibilità integrale rappresenta una strategia di sviluppo che va a ridefinire anche il concetto di crescita, verso un nuovo paradigma, di un diverso ed equilibrato sviluppo. O si accetta radicalmente questa sfida oppure quanto andremo a compiere sarà solo azioni da pannicelli caldi. Senza cambiare la mentalità e l’agire.
Ritengo che dovremmo ridefinire il bilancio aziendale e, assieme allo stato patrimoniale e al conto economico, dovremmo inserire il bilancio ambientale e lo stato sociale, per elevare queste tematiche a pilastri di tenuta dell’attività economica.
E allora perché occuparci anche di impronta energetica, di biodiversità e di comunità locali?
Perché un territorio e la sua collettività sono più resistenti agli eventi estremi ambientali se hanno una maggiore biodiversità e una bassa banalizzazione delle risorse naturali; perché l’uscita dalle forme fossili è un appuntamento non più rinviabile e la riduzione dei consumi con involucri edilizi produttivi più efficienti è parte della stessa sfida.
Tutto possibile con lo spirito dei visionari, il pensare largo e la ricerca di alleanze, alla maniera cooperativa.
Sono certo che il modello cooperativo, anche per come si sta diffondendo e praticando in molti parti del mondo, sia oggi il modello più sperimentato e più efficace per avviare una nuova fase post capitalistica dove le persone siano davvero al centro. E non più persone che vivono come isole a sé. Si cambia insieme e non da soli. Un neo mutualismo, come si sta iniziando a dire, che sia leva per la rigenerazione e lo sviluppo, un agente di trasformazione e cambiamento. Forse basterebbe chiamare tanti interlocutori convinti della crisi sistemica intorno allo stesso tavolo e allo slogan ambientalista di “pensare globalmente e agire localmente “ basterebbe solo aggiungere: cooperando.

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